Cosa siamo disposti a sacrificare di noi stessi per ottenere una versione migliorata di sé? La talentuosa regista e sceneggiatrice francese Coralie Fargeat si pone questa domanda e dirige il suo secondo lungometraggio, dopo Revenge (2017), un acclamato rape-revenge di stampo femminista, questa volta affacciandosi al body horror di stampo quasi classico, rinfrescando un genere che sta lentamente trovando il suo spazio negli allori del cinema d’autore, uscendo dallo stigma dall’exploitation, grazie a titoli come Titane di Julia Ducournau (2021), al ritorno del praticamente creatore del genere David Cronenberg con The Shrouds (2024) o addirittura il recente e attesissimo (ma fallimentare) adattamento animato del popolare manga di Junji Ito, Uzumaki (2024).
Elisabeth Sparkle (interpretata da Demi Moore), attrice hollywoodiana di lunga data, al compimento del suo cinquantesimo compleanno, puntuale come un orologio biologico e come una letterale spada di damocle posizionata sulla testa di una moltitudine di donne, dello spettacolo ma non solo, si trova nella scomoda posizione di essere destituita dal suo ruolo, discriminata dalla sua non più giovanissima età. Con l’occasione di un incidente stradale, viene a conoscenza della possibilità di utilizzare un segretissimo trattamento ringiovanente, chiamato per l’appunto The Substance, la sostanza, un liquido verde fosforescente degno del miglior Stuart Gordon e del suo Re-Animator (1985). Questo “trattamento di bellezza” però si rivelerà essere molto più complesso e horrorifico di quanto immaginato da Elizabeth, risultando in una vera e propria partenogenesi, un sacrificio rituale e regolare del proprio corpo per poter creare, o partorire, una nuova, giovane e migliore versione di se stessi, in questo caso Sue (interpretata da Margaret Qualley). Le due, nonostante il misterioso deus ex machina al telefono le ribadisca più e più volte di ricordare che entrambe sono la stessa persona, entreranno in conflitto, sabotando a vicenda l’una la vita dell’altra, per emergere come unica entità. Questo conflitto costringerà poi Elizabeth a voler terminare il trattamento, sacrificando Sue, ma non andrà tutto per il meglio culminando in un finale in cui il gore, il sangue e le mutazioni horrorifiche prenderanno il sopravvento, non facendoci rimpiangere i finali splatter dei grandi classici come Society – The Horror (1989) diretto da Brian Yuzna.
The Substance, forse per la prima volta da parte di una regista donna, affronta il tema del parto in chiave body-horror, ma anche in maniera letterale. Le donne spesso sono costrette a sacrificare la propria carriera, la propria vita e la loro intera energia vitale per poter dare al mondo una versione migliore di loro stesse, un figlio, una entità esterna a noi, ma non proprio, che, forse anche egoisticamente, vogliamo abbia successo nel mondo, ad ogni costo. Il tema dell’inseminazione, del parto, ci riporta indietro agli albori del genere quando donne si ritrovano “madri” involontariamente come in Rosemary’s Baby – Nastro rosso a New York (1968) di Roman Polański oppure Brood – La Covata Malefica (1979) di David Cronenberg, che con questo film decreta forse la nascita del genere, per arrivare addirittura ad un folle e giovane Takashi Miike di Gozu (2003) in cui i temi della reincarnazione e del parto sono spinti ogni oltre il limite in una epocale scena del film.
The substance, e qui voglio sperarlo fortemente, ci spinge a creare un’ulteriore chiave di lettura del film, sopra quella classica della bellezza femminile effimera e dello showbusiness tritacarne. Con la sua massimizzazione di ogni aspetto, dai colori supersaturi, al sound design inquietante, alla costante presenza di specchi in cui perdersi, ci spinge ad odiare entrambe le versioni di Elizabeth, l’insoddisfatta attrice che cede alle pressioni del proprio capo, Harvey, interpretato dal qui forse fin troppo macchiettistico Dennis Quaid, e la giovane, fin troppo perfetta Sue, dal suo arrivismo, simbolo di una gioventù che reclama il proprio posto nel mondo.
Eh sì, il suo posto nel mondo è averla vinta grazie, e solo grazie alla sua bellezza esteriore, a scapito della sua interiorità, della sua personalità, della sua unicità di donna. Questo spinge Sue, e anche la Fargeat, ad andare oltre ogni limite, superando quello che di consentito le era stato permesso per mantenere la sua promessa di diventare famosa. La notorietà diventa un mostro deforme fatto di un miscuglio di unicità, e come in un moderno The Elephant Man (1980) di David Lynch esposto al pubblico inorridito al quale finalmente mostrerà la sua interiorità (e le sue interiora) in una scena in cui il sangue a fiotti questa volta non è di maiale come in Carrie – Lo Sguardo di Satana (1976) di Brian De Palma.
Il film ci altalena dal surreale, al grottesco per arrivare al suo culmine al body horror, tentando a volte di divertire laddove forse avrebbe dovuto drammatizzare e viceversa. Al momento infatti viene presa la decisione di candidarsi nella categoria comedy/drama ai Golden Globes. L’interpretazione drammatica, in contrapposizione, di Demi Moore e Margaret Qualley reggono pressoché tutto il film, contornato da un’ottima direzione della fotografia a cura di Benjamin Kracun, una messa in scena scarna ma brillante a cura di Stanislas Reydellet e una colonna sonora curata dal dj e compositore ex Ninja Tune Raffertie.
Non privo di pecche The Substance comunque intrattiene, diverte, esagera, colora, schizza, brilla, spende e spande ad ogni inquadratura, riempiendoci le due ore e passa di grande cinema e probabilmente lascerà un segno nel panorama del cinema body-horror. E non solo.
The Substance di Coralie Fargeat sarà disponibile dal 30 Ottobre al cinema grazie a I Wonder Pictures