The Revenant: la recensione

Missouri, orsi, indigeni, neve e un freddo che spacca le ossa (e trafigge il cuore).

Sulle rive del Missouri si racconta una storia, forse vera, forse no, di un uomo coraggioso ed immortale che è sopravvissuto ad uno scontro con un orso ed è diventato un eroe. Sulle sponde di quel lago, Alejandro Gonzales Inarritu dirige quello che, all’apparenza, è il suo film più maturo, più intenso e più emozionante, raccontando la storia di Hugh Glass, quell’uomo coraggioso ed immortale che è diventato un eroe.

Per giudicare e commentare un film come The Revenant occorre una visione attenta, una metabolizzazione accurata e una riflessione che può avvenire solo successivamente, a mente lucida, lontano dalla visione stessa. A caldo sarebbero tante le obiezioni da muovere verso il regista messicano più discusso del cinema internazionale e non è che a freddo queste obiezioni vadano via, eh, tutt’altro: semplicemente, quando sopraggiunge la ragione, cessano di avere importanza.

Perchè The Revenant, in verità, è un film perfetto e Inarritu, con questo film, ha raggiunto un apice tale che a questo punto gli si prospettano due vie lungo la strada:

1- Lascia il cinema, si infila una pelliccia di orso e decide di vagare per il Missouri a – 35°C fino a perdere i sensi e morire (nella realtà si muore, ovviamente, non si sopravvive a uno scontro mortale in mezzo al nulla cosmico e gelido del Midwest);
2- Lascia il cinema, si infila una pelliccia di orso e decide di vagare per il Missouri a – 35°C fino a perdere i sensi, morire e risorgere Terrence Malick.

Ora, probabilmente non si avvererà nessuna delle due ipotesi e il prossimo film di Inarritu farà cacare come Birdman, ma non ci importa: The Revenant è così bello che gli perdoniamo almeno una decina di film a partire da oggi.

La fotografia di Lubezki, su questo film (e non solo), è immensa, da togliere il fiato, al punto che sembra quasi di essere lì, a patire il freddo, il dolore e la vita insieme a Hugh Glass. “Volevamo fare un film che fosse coinvolgente e viscerale – ha dichiarato Lubezki stesso – ed è per questo che abbiamo utilizzato solo luci naturali. Volevamo che il pubblico si accorgesse che tutto quello che accadeva sullo schermo era vero, reale, palpabile”. Si dice che il vero Hugh Glass fosse stato aggredito da un orso in un pomeriggio d’estate, ma la scelta di ambientare le vicende in inverno è stata provvidenziale e non casuale, a mio avviso: tutta quella neve, quel freddo e quei toni gelidi e grigio/blu della pellicola hanno contribuito, senza alcun dubbio, a rendere l’esperienza visiva ancora più mistica, più profonda, più intensa. Il lavoro del cinematografo, quando è fatto bene, diventa fondamentale: perché è capace di farti andare oltre, di farti apprezzare un film nella sua magica totalità e di farti perdonare un uomo detestabile come Inarritu.


E che dire, poi, di Tom Hardy, che qui è più bravo di Di Caprio, dell’orso bruno e del Missouri messi insieme? Funzionano alla perfezione, Hardy e Di Caprio: l’uno, Fitzgerald, è un uomo all’apparenza cinico, spietato ed individualista, pronto a qualsiasi cosa pur di salvarsi la pelle e tornare a casa; l’altro, Glass, è un uomo coraggioso, forte, altruista, pronto a dare la vita per suo figlio (ma sarà il figlio, purtroppo, a pagare per lui) e per i suoi uomini. Pur essendo l’uno l’antitesi dell’altro, non c’è un buono che si vendica contro un cattivo, non c’è un bene che sconfigge il male, tutt’altro: Fitzgerald e Glass sono le due facce della stessa medaglia, le due personalità nascoste dietro un unico uomo, con un grande fine, la sopravvivenza.

The Revenant
8.8Overall Score
Regia9
Sceneggiatura8
Colonna Sonora8
Recitazione9
Fotografia10
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