Guida (non richiesta) ai 10 migliori film del 2017

Sono giorni che, su internet, non vedi altro che liste: i 10 film migliori, quelli peggiori, i più sottovalutati, quelli che era meglio se non premevi play, gli attori più belli, quelli più brutti, quelli più brutti che però sono belli…

E dato che anche noi di Idiotist di film ne abbiamo visti un bel po’, beccatevi la nostra top ten di quelli che – secondo noi – sono i migliori film del 2017.

10 – Borg McEnroe (J. Metz)

borg mcenroe

Chi credeva di sedersi in sala e, a luci spente, di doversi sorbire un polpettone di quasi due ore sulla partita di tennis più lunga della storia si sbagliava di grosso: Borg McEnroe è uno dei film più sorprendenti dell’anno che sta per concludersi.

Divertente, emozionante e a tratti surreale, il film del regista danese Janus Metz mostra gli intensi momenti subito prima della più avvincente partita di tennis mai avvenuta, la finale di Wimbledon 1980 tra il freddo tennista svedese Bjorn Borg e il sanguigno tennista americano John McEnroe. Utilizzando la partita di tennis come escamotage narrativo, Metz racconta una storia che scava nell’essere umano, alla scoperta delle vere personalità che si celano dietro i personaggi pubblici di Borg e McEnroe, con tutte le loro fragilità e complessità.

Il risultato è un vero e proprio film d’azione che ricorda da vicino il Rush di Ron Howard con i toni autoriali tipici di un cinema europeo più introverso.

9 – Logan (J. Mangold)

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Ecco un film che non ti aspetti, specie se – come me – non ne puoi davvero più dei supereroi.

James Mangold prende un personaggio iconico come Wolverine e decide di spogliarlo (quasi) completamente dei suoi superpoteri, trasformandolo in un uomo solo, fragile e per la prima volta a rischio e decide di affiancarlo a una bambina, all’apparenza gracile e indifesa, che però ricorda tanto da vicino un giovane Wolverine (nel bene e nel male).

Al di là di ogni aspettativa possibile – e già era intuibile nel trailer – Logan è un film cupo, intenso, drammatico, con un finale capace di strapparti il cuore dal petto e di ridurlo in mille pezzettini tremolanti, e si inserisce in questa nuova rinascita del comic movie contemporaneo, che grazie a Netflix ha finalmente assunto una connotazione più matura e più introspettiva, in questo caso arricchita dall’interpretazione di un attore maestoso (di aspetto, talento e carisma) come Hugh Jackman.

8 – Dunkirk (C. Nolan)

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Christopher Nolan non sbaglia un colpo. Il regista americano più discusso di Hollywood, così pop che non puoi amarlo e così bravo che, alla fine, non puoi neppure odiarlo, ha deciso – come un moderno Kubrick – di cimentarsi in tutti i generi possibili e questa volta è toccato a un film di guerra in cui la guerra, però, è “solo” un pretesto per raccontare qualcosa di molto più grande.

Siamo sulle spiagge di Dunkerque, a nord della Francia, quando un foltissimo gruppo di soldati inglesi (circa 400.000) viene travolto dall’esercito tedesco: l’episodio riesce ad unire la popolazione britannica al punto che tutti, civili e non, decidono di prendere parte all’operazione di salvataggio, nota a tutti come Operazione Dynamo, che riuscì a salvare la vita a numerosi soldati e ad infondere nei soldati inglesi la forza necessaria per andare avanti.

Con un sapiente gioco fatto di silenzi, rumori e suoni (composti, manco a dirlo, da Hans Zimmer), Nolan è riuscito a catturare lo spettatore per più di due ore, al punto da farlo sentire ansioso e nauseabondo in alto mare proprio come quei soldati in cerca di salvezza, regalandogli un finale imponente e liberatorio che ha un dolce retrogusto di libertà.

7 – Loving Vincent (H. Welchman, D. Kobiela)

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Diretto da un regista e una pittrice, Loving Vincent è forse uno dei film più imponenti della storia del cinema degli ultimi anni, non soltanto per le difficoltà registiche, ma anche per la dedizione con cui 115 pittori hanno dipinto a mano oltre 65.000 dipinti ad olio ispirati a 94 quadri di Vincent Van Gogh, successivamente animati per dare vita ad un’esperienza visiva incredibile, in bilico tra live action e animazione, e raccontare gli anni successivi alla morte del pittore olandese, avvolta in un tale mistero da spingerci a chiederci se si sia trattato davvero di un suicidio.

Nonostante le premesse, Loving Vincent non è semplicemente un esercizio di stile, ma il racconto straziante di un animo fragile e geniale come era quello del compianto Van Gogh e l’incredibile viaggio che un suo vecchio amico intraprende per scoprire le ragioni reali che si nascondono dietro la sua morte.

Visivamente spettacolare in ogni singolo istante della visione, Loving Vincent incanta il pubblico e lo emoziona, creando un legame intenso tra lui e il pittore, che dura fino allo splendido finale – e ben oltre la fine del film.

6 – Brigsby Bear (D. McCary)

Di storie di rapimenti il cinema è così saturo che è davvero difficile trovare un modo originale per raccontarne uno.

L’autore comico del Saturday Night Live, Dave McCary, c’è riuscito alla perfezione ed ha dato vita, insieme all’attore comico del SNL Kyle Mooney (nel film anche attore protagonista), ad un film agrodolce che parte da un evento tragico come quello di un rapimento per raccontare una storia che parla di amore, amore per la vita ma anche per il cinema.

Con uno stile adorabilmente indie che ricorda molto da vicino pellicole come Frank (2014, di L. Abrahamson) e Gentlemen Broncos (2009, di J. Hess), Brigsby Bear è un film grottesco e divertente, che strappa a chi guarda più di una risata amara e lo accompagna lungo un viaggio visionario e meraviglioso alla scoperta di se stessi e di un legame abbastanza forte da ricongiungerci con il nostro passato, ovunque esso sia.

5 – A Ghost Story (D. Lowery)

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Non lasciatevi ingannare dal titolo: A Ghost Story è una storia d’amore, una delle più belle mai raccontate.

Spocchioso per certi versi – e odiosamente hipster per certi altri – A Ghost Story è un film unico nel suo genere: David Lowery, con un budget super ridotto, decide di girare il suo film in digitale ma con lenti Super16, per favorire una ripresa in 4:3 e regalargli un retrogusto vagamente retro.

Il risultato è un film intenso e drammatico, fatto di silenzi e di inquadrature fisse e lunghe al punto da risultare disturbanti: A Ghost Story è un film che parla di perdite e di rielaborazioni del lutto, ma è anche un film che parla di anime in pena, come sono quelle che vanno via, dopo la morte, ma tali sono anche quelle che restano, perché sono sopravvissute a quella perdita e perché, in qualche modo, devono provare ad andare avanti e lottare contro il tempo.

Girato, come dicevamo, con un budget di appena 100.000 dollari e pochissimi giorni di riprese organizzate in gran segreto (“Volevo permettermi il lusso di sbagliare e potevo farlo solo non esponendomi troppo” – ha dichiarato il regista durante la distribuzione), A Ghost Story è un film speciale, perché dimostra che, a volte, basta un’idea potente per fare un grande film.

4 – Hostages (R. Gigineishvili)

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“Fumano sigarette occidentali, ascoltano i Beatles e il loro unico obiettivo è quello di volare oltre la cortina di ferro. Nella Georgia del 1983 un gruppo di ragazzi sta organizzando una fuga, la più ribelle e rocambolesca di sempre.”

Hostages è una storia vera, così assurda e grottesca da sembrare un film: il regista georgiano decide di riportare alla luce un fatto di cronaca non troppo distante da noi e di raccontare il tragico e inaspettato epilogo di un dirottamento aereo da parte di un gruppo di giovani georgiani colpevoli (forse) dell’unico desiderio che non avrebbero mai potuto realizzare nella Georgia dittatoriale in cui erano costretti a sopravvivere: la libertà.

La regia è serratissima, così come la sua composizione, eppure traspare prepotente la forza narrativa di questo film, nascosta dietro gli ultimi e concitati momenti della “banda” che sta per dire addio alla sua famiglia nella speranza di trovare, al di là del confine, un mondo aperto, libero e pronto ad accoglierli.

E pur raccontando, il regista, di un reale attentato terroristico, è quasi impossibile assistere freddamente alle vicende di questi poveri ragazzi, vittime della loro stessa libertà e allo stesso tempo imprevedibili carnefici e impreparati a ciò che di lì a poco avrebbero dovuto subire.

3 – Detroit (K. Bigelow)

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Spero che tutto questo finisca, prima o poi: la popolazione afroamericana deve smettere di soffrire”

Luglio, 1967. Detroit è una di quelle città che prende la vita notturna come una cosa seria: in giro è pieno di locali notturni che suonano musica dal vivo. Spesso a gestirli sono uomini di colore, che nei loro locali distribuiscono alcol di contrabbando. In una di quelle sere di luglio, la polizia irrompe in uno di questi locali, il Bling Pig, e con un raid decide di chiudere il locale. È l’inizio della fine e quello che doveva essere un raid di ordinaria amministrazione, si trasforma in una delle rivolte più violente della storia americana.

Con uno stile unico che oscilla tra l’inchiesta e il dramma, Kathryn Bigelow torna a scoprire i nervi doloranti del popolo americano: Detroit è un film crudo, intenso, straziante che prova ad analizzare – nel modo più obiettivo possibile (e in questo caso, credetemi, è più difficile di quel che sembra) – le vicende reali che si nascondono dietro una violenza così folle e immotivata.

“La popolazione afroamericana deve smettere di soffrire”. Ed è incredibile come sia necessario parlare di razzismo ancora oggi, a cinquant’anni di distanza dalla rivolta di Detroit, al punto che viene da pensare che, forse, non siamo riusciti ad imparare la lezione.

2 – Good Time (B. & J. Safdie)

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Good Time è un titolo strano, per un film come questo: nella storia che i fratelli Safdie hanno deciso di raccontare il tempo, anzi, è piuttosto tiranno e scorre così in fretta che probabilmente avrà la meglio sul protagonista, che sembra fuggire da se stesso, prima di tutto, e dalle sue responsabilità.

Ma a pensarci bene, nel gergo urbano “good time” indica anche un modo sarcastico per definire quella che, invece, è stata una giornata terribile. Terribile com’è l’ultima notte di Connie, il giovane protagonista, intento a far scappare di galera suo fratello mentalmente disabile per portarlo con lui lontano, il più lontano possibile da lì. È proprio lì che si muove il film dei fratelli Safdie, nel cuore pulsante di quella notte intensa e disgraziata, fatta di corse al cardiopalma in cerca di una libertà difficile da raggiungere – e molto probabilmente non arriverà mai.

Grazie alla colonna sonora di Oneohtrix Point Never e a una fotografia cupa e illuminata unicamente da luci al neon quasi perturbanti, Good Time è un film moderno, nel miglior senso possibile, con una trama semplice ma ben strutturata, un montaggio sincopato e in pieno ritmo con lo stato d’animo del protagonista e un finale inesorabilmente e inevitabilmente pacato, necessario, quasi liberatorio.

Un film sorprendente e incredibile, la vera rivelazione di questo 2017 che sta per concludersi.

1 – Mother! (D. Aronofsky)

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Odiato da molti, amato da pochi (pochissimi), Mother! è per noi il miglior film del 2017. Ed è così difficile parlarne che abbiamo dovuto esporne un trattato a fine visione, per poter elaborare tutte le emozioni che ne sono scaturite.

Sì, perché Mother! è certamente un film difficile, complesso, intenso, che parte da una storia semplice e umana per raccontare qualcosa di incredibilmente più grande.

Al centro della narrazione c’è l’amore, che muove le cose e con la medesima forza le distrugge, l’amore di un uomo verso la sua donna che è musa e ispirazione per il suo lavoro, l’amore di quella donna verso il suo uomo e tutto ciò che lo rappresenta – perché è grazie a lui se lei esiste ed è viva, l’amore di uno sconosciuto verso quell’uomo che ha dato vita ai suoi pensieri con la sua poesia e con i suoi lavori. E la “madre” che da il titolo al film è insieme creazione e distruzione, ispirazione idea primordiale.

Ragionare su Mother! è come accendere una scintilla che cresce dentro dopo la visione del film. Questa è quindi l’essenza del cinema, vedere un’opera che possa creare, come un cristallo strappato dal petto, una sensazione che a distanza di ore ti bruci dentro insistentemente.


Purtroppo i film sono molti e inserirli tutti sarebbe impossibile, però questo anno ci sentiamo in dovere di fare alcune menzioni d’onore per alcuni titoli quali: Blade Runner 2049 (D. Villeneuve) che nonostante le opinioni contrastanti è riuscito a nostro avviso a dare un degno seguito ad un capolavoro del cinema passato, Raw – Una cruda verità (J. Ducournau) per il suo stile e la freddezza visiva tipica dei transalpini, e infine, The Killing of a Sacred Deer (Y. Lantimos) per riuscire a disturbare sempre lo spettatore anche quando nel film c’è qualcosa che non funziona.