Blade Runner 2049: la recensione [senza spoiler]
Solo quello che nasce ha un anima, si interroga il film, e forse è solo questo l’unico vero problema di Blade Runner 2049. Nascendo già formato, come un replicante di ultima generazione, esegue a perfezione gli ordini dall’alto senza trovare un proprio IO, tutto personale.
D’altro canto, forse, è proprio questa la forza di questo attesissimo sequel. Denis Villeneuve, fresco proprio di un acclamato ma diversissimo film di fantascienza come Arrival, dirige un film impeccabile sotto ogni punto di vista, assemblando un dream team dei cast tecnici come Roger Deakins alla direzione della fotografia e Hans Zimmer alla colonna sonora, dopo l’abbandono di Jóhann Jóhannsson per divergenze creative con il regista (Villeneuve, si sa, stima moltissimo Jóhannsson, ma voleva qualcosa che si avvicinasse di più al prodotto di Evanghelos Odysseas Papathanassiou, in arte Vangelis).
La sua forza, quindi, sta proprio nel non voler aggiungere forzatamente quel tocco personale da prima donna che molti registi si ostinano a inserire nei sequel o reboot che dirigono, ma nel voler ricreare con estrema perizia e dedizione il mood originale, imbevendosi di ispirazione e orchestrando la macchina del cinema nel suo complesso, affiché il prodotto soddisfi il regista stesso e il pubblico più accanito. Villeneuve ha chiaramente espresso a tutti quanto sentisse il peso di questo mastodontico progetto sulle spalle, ma ora, dopo mesi e mesi di pressione e ansie da parte dei fan, potrà tirare un sospiro di sollievo, avendo riscontrato un discreto successo, meritato, tra pubblico e di critica.
Ma ogni diamante per essere prezioso ha bisogno di qualche imperfezione, a partire forse dalla trama, che pur regalando qualche spunto molto interessante, risulta troppo lineare e spesso intuibile. L’universo di Blade Runner e Blade Runner 2049 è ovviamente basato (abbastanza alla lontana) sul romanzo di Philip K. Dick Il cacciatore di androidi (Ma gli androidi sognano pecore elettriche?), ma la sceneggiatura è stata affidata a Hampton Fancher, sia per l’originale che per il sequel. In blade runner 2049 è stato affiancato allo sceneggiatore Michael Green, noto per l’ottimo Logan, Alien Covenant e l’adattamento televisivo di American Gods. Una piccola curiosità, quando Hampton Fancher scrisse, insieme a David Webb Peoples la sceneggiatura originale di Blade Runner del 1982, si allontanò parecchio dal romanzo di Dick perché lo riteneva poco interessante.
Ma di cosa parla quindi questo Blade Runner 2049? Dopo i tre corti rilasciati da Villenuve stesso per accrescere l’hype e per spiegare alcuni dettagli fondamentali, ci approcciamo alla visione del film sapendo che nel 2022, dopo una rivolta distruttiva dei nexus, tutto il lavoro della Tyrell Corporation, andò perduto quasi completamente, lasciando il testimone ad un altra casa di produzione, capitanata da un altrettanto eccentrico padrone, Niander Wallace (Jared Leto, il quale dimostra che essendo diretto bene sa ancora recitare). Nel frattempo K (Ryan Gosling), un nuovo Blade Runner, un poliziotto cacciatore di lavori in pelle, di replicanti del vecchio modello fuorilegge, si imbatte in un caso che lo porterà a scoprire le proprie origini e quelle di tutta la generazione di nexus illegali, perché non dotati dell’obbedienza, propria dei nuovi modelli. K scaverà a fondo nella storia e nella memoria fino a ritrovare indizi che lo porteranno indietro fino a Rick Deckard (Harrison Ford).
Rimanendo sulle imperfezioni, che probabilmente non lo sono, Hans Zimmer, subentrato tardivamente sul film, confeziona un prodotto che non si sforza più di tanto di creare una sua vera identità, ma rielabora con grande maestria il tema e le sonorità originali create da Vangelis, omaggiando l’originale Blade Runner e le sue intramontabili scene. In accoppiata con il più che navigato direttore della fotografia Roger Deakins (Le ali della libertà, Non è un paese per vecchi), Zimmer è riuscito a ricreare l’immaginario originale di Blade Runner, in cui enormi città piovose e distese di campi a perdita d’occhio vengono sottolineati dalle inconfondibili sonorità melodiche ma sintetiche del futuro, distopico e noir come siamo abituati ad amare. Deakins aveva già collaborato con Villeneuve per Prisoners, ma soprattutto per Sicario, guadagnandosi anche una nomination agli agognati oscar. Con Blade Runner 2049 probabilmente proverà l’arringa finale per guadagnarsi l’agognata statuetta, forse meritata per questo film (ma soprattutto per molti altri), per il quale ha nettamente contribuito alla potenza visiva, punto di forza del film.
Nel complesso il film scorre piacevolmente (nonostante i suoi 163 minuti) tra alti e bassi, tra momenti di quasi noia a momenti di commozione pura, passando dall’action più classica. Ryan Gosling, praticamente onnipresente sullo schermo, regge la telecamera sul suo faccione impassibile con maestria, soprattutto per il ruolo scomodo e il confronto, diretto e indiretto, con il suo predecessore, Harrison Ford, il quale riesce, nonostante l’età avanzata, a non risultare un vecchietto patetico sullo schermo, ma un protagonista che ancora combatte per la propria identità.
In conclusione, la visione di Blade Runner 2049 non è stata e non sarà facile per nessuno, soprattutto se si è amato così tanto il Blade Runner originale, come il sottoscritto. È inutile mentire a se stessi, sappiamo tutti che sarebbe stato doloroso non riuscire a provare le stesse sensazioni che abbiamo provato, chi più chi meno, dal 1982 ad oggi guardando e riguardando, ad oltranza, il capolavoro di Ridley Scott. Il mondo, però, va avanti, bisogna rimodellare il futuro, accettandone i cambiamenti e dunque ben venga Denis Villeneuve, naturale erede di Scott e ben venga Blade Runner 2049, film perfettamente realizzato sotto quasi ogni aspetto, a cui la nostra generazione farà sicuramente riferimento quando, tra trent’anni, andremo sognanti a vedere Blade Runner 2079 al cinema, sperando che esistano ancora.
Blade Runner 2049 è al cinema nelle sale italiane a partire dal 5 ottobre.