Obama, Trump e Midterm Elections: conversazione con Michael Moore
Ho sempre avuto sentimenti contrastanti per Michael Moore. Amo i documentari, ma un po’ meno i sensazionalismi e a volte, Moore, mi sembrava si spingesse un po’ troppo verso questi ultimi. Conoscerlo personalmente, però, è stato illuminante. Perché Michael Moore è, tutt’ora, prima di tutto un uomo, un attivista politico, una persona colta, profonda, umile. Poi, Michael Moore, è un documentarista, un cineasta, uno di quelli che sa utilizzare la macchina da presa per raccontare qualcosa, che sa dare al cinema un valore artistico puro, profondo, unico.
“Less crap and more art” – è stata la frase di apertura dell’incontro con Micheal Moore che c’è stato qualche settimana fa a Roma, in occasione della Festa del Cinema. Meno schifezze e più arte. Nel cinema, ma anche nella vita, forse. Perché solo la cultura e la bellezza possono salvarci dalle brutture del mondo. Brutture che rischiano di diventare un pericolo, se Trump rimane al governo degli Stati Uniti d’America.
Michael, qual è lo stato del cinema oggi?
Sono molto preoccupato per la condizione del cinema oggi. Negli USA è sempre più difficile vedere film stranieri: anche nelle città più grandi diventa sempre più raro vedere film che provengono da altre parti del mondo.
Ho ristrutturato di recente un cinema storico della mia città, per permettere alle persone di continuare ad andare al cinema. Credo che il cinema sia la forma d’arte del popolo per eccellenza: non tutti possono permettersi il biglietto per un evento sportivo – in USA può costare fino a 200 dollari – o per un concerto, ma la maggior parte delle persone può vedere un film a 10 dollari, magari. È una forma d’arte che va protetta.
Io sono cresciuto in una città industriale, che viveva di fabbriche, eppure ho avuto la possibilità di vedere tantissimi film stranieri. Oggi, questo non è più possibile. Le persone non possono più conoscere le altre culture e questo non fa che portare a una maggiore ignoranza. E forse è anche per questo che il mio paese si trova in questo stato, forse è per questo che si prendono decisioni sbagliate. Perché fondate sull’ignoranza, appunto, e non sulla conoscenza.
Negli USA, il 60-70% delle persone non ha un passaporto, non ha mai visto il mondo fuori da casa propria: il cinema, in questo caso, è l’unico modo che le persone hanno per conoscere le altre culture, per imparare cose nuove. Il cinema, quindi, non va semplicemente salvato: è anche importante che prosperi. È una strada che va in due direzioni. È vero, bisogna impegnarsi a riportare nelle sale il grande cinema del passato, ma bisogna anche impegnarsi per continuare a fare cinema di valore. Meno spazzatura e più arte, al cinema, per favore.
Di Fahrehneit 11/9 mi ha colpito la radicalità dell’approccio, del linguaggio, delle opinioni espresse – e alla radicalità non siamo più abituati, qui in Italia. In Fahrehneit 9/11 – il documentario sull’11 Settembre – hai parlato di Bush come del peggior presidente della storia. In Fahrehneit 11/9, invece, sembra che Trump percorra la stessa strada. Credi che gli americani, per colpa di Trump, si trovino a rimpiangere un presidente come Bush?
No. Bush sarà sempre responsabile dei crimini di guerra che conosciamo. È un criminale, non si può rimpiangere un uomo così. Però credo che sia importante capire che sia Trump che Bush siano disastrosi. Entrambi hanno perso le elezioni per tantissimi voti di scarto. Se il nostro paese fosse realmente democratico, allora avremmo avuto Al Gore e oggi Hillary Clinton. La sinistra americana avrebbe dovuto lottare per eliminare questa legge elettorale così sbagliata e questa battaglia per i diritti civili avremmo dovuto cominciarla tutti almeno 16 anni fa.
Probabilmente la differenza tra Bush e Trump è che Trump si è subito presentato agli occhi degli americani come un grande populista, come l’amico del popolo che combatte per sconfiggere i guasti della globalizzazione e difendere gli operai. Come è possibile che gli operai della cintura industriale USA gli abbiano creduto?
Non gli hanno creduto, infatti. Hillary Clinton ha ottenuto i voti della working class americana, non Trump. Le notizie qui sono arrivate in modo piuttosto alterato. Trump ha ottenuto la maggioranza dei voti dai benestanti americani. Forse bisognerebbe dire che Trump ha avuto la maggior parte dei voti dai bianchi americani. Ma le cose stanno cambiando, oggi. Al momento, i 2/3 dei votanti in USA è composta da gente di colore, donne e giovani. Sono loro la maggioranza e sono loro che porteranno al cambiamento. Forse questi saranno davvero gli ultimi giorni del dinosauro morente.
Il 22 agosto 2016 il Time mise in copertina il faccione di Trump che si squagliava, titolandola “The Meltdown”. La stampa internazionale era convinta che Trump non avrebbe vinto le elezioni. Come è possibile che non si siano rese conto di questo pericolo?
La stampa e i media hanno svolto un grandissimo ruolo nell’istupidire la gente negli USA. La stampa ha amato letteralmente Trump, elogiandone ogni mossa, gesto, parola. La verità, però, è un’altra: la gente non ha mai parteggiato per lui, perfino le proiezioni sulle elezioni davano la Clinton come vincitrice. Il problema reale è che i media, la stampa, si creano la loro verità, non vivono per strada, non sanno cosa vive e come vive la gente. Adesso le cose un po’ stanno cambiando, è vero, ma non è sempre stato così. Trump, purtroppo, è sempre stato elogiato dalla stampa, al punto da dargli perfino un soprannome, “The Donald”, come se una persona come lui meritasse un nomignolo. Perfino i politici di sinistra ridevano del suo desiderio di diventare presidente. E io dicevo loro: “Non c’è niente da ridere, guardate che è serio, vuole diventare davvero presidente”. E loro mi ridevano dietro “Ahah, Mike, che ridere. Ma ti pare? La gente è troppo intelligente!”. No, la gente non è così intelligente: Trump al governo ne è la prova. Il fatto è che se si rovinano le scuole, se si sottraggono i fondi per l’istruzione, se si costringe uno studente a impegnarsi con la sua università con prestiti da 100.000 dollari (prestiti che estinguerà nei 20 anni successivi), se si chiudono le biblioteche, se permettiamo alle multinazionali di controllare i media e su quei media diamo solo un certo tipo di informazioni, è inevitabile che la gente perda il suo senso critico. Credo che anche in Italia sia successa più o meno la stessa cosa, no? Prima Berlusconi, ora Salvini… voglio dire, ci deve essere una ragione dietro… non posso credere che tutte le persone siano così stupide.
Secondo te questa incompetenza di Trump farà aprire gli occhi agli americani? Perché noi in italia abbiamo Di Maio e Salvini che di danni ne stanno collezionando parecchi, eppure pare che i consensi della gente non li stiano perdendo affatto.
Sono stato per un po’ in Italia ed ho visto tanta televisione italiana. Non capisco l’italiano, ma le immagini sono piuttosto chiare. Quando i ricchi prendono possesso dei media hanno un interesse acquisito a far sì che le persone non siano consapevoli di certe cose, che non le vedano neppure. Si pensa solo a creare intrattenimento, a divertire la gente. In questo anche Trump è molto bravo, eh, è un grande intrattenitore. Per questo lo amano, perché è solo questo che traspare di lui, il suo lato da “cabarettista”. E forse questa cosa accade anche qui. Gli italiani vedono Salvini e Di Maio e li trovano divertenti, ma non c’è nulla di divertente in quello che fanno. E questa è in parte colpa della sinistra (vale qui come negli USA), perché a un certo punto ha cominciato a pensare che per vincere le elezioni doveva essere meno di sinistra e più al centro, quasi più a destra. La sinistra ha cominciato a sentirsi come un Berlusconi intelligente, un Salvini intelligente, ma come si fa a inserire queste due parole – Berlusconi e intelligente – insieme nella stessa frase? I liberali hanno commesso questo errore e hanno pensato: “Per vincere le elezioni dobbiamo smettere di essere radicali… Non sappiamo bene chi siamo, però votate per noi!”. Questo errore, però, lo stiamo pagando. La ragione per cui le persone hanno votato Trump o Berlusconi o Salvini è che loro si mostrano per quello che sono e se dicono una frase stupida se ne vantano anche. Un po’ come quando Bush era orgoglioso di essere uno studente con una media appena sufficiente, come se fosse un vanto andare male a scuola. “Vedete, io sono come voi”, diceva alla gente. E la gente lo votava. Ai tempi di mio padre, quando lavorava in fabbrica, tutti impazzivano per JFK perché lo credevano colto, brillante, con un intelletto superiore alla media, che aveva studiato ad Harvard e che, quindi, con le sue conoscenze e la sua cultura avrebbe potuto migliorare il nostro paese.
In Fahrehneit 11/9 si parla anche di Obama. C’è un episodio che riguarda Flint che forse è la chiave del documentario. Flint è famosa per l’acqua inquinata e avvelenata dal piombo e la popolazione ha lottato a lungo per far sì che questa cosa cambiasse. Eppure quando Obama si è presentato davanti a loro, durante una conferenza, ha chiesto di bere un bicchiere di quell’acqua avvelenata per dimostrare alla popolazione di Flint che non c’era alcun pericolo. Molti americani ricordano quell’avvenimento come qualcosa di doloroso, perché il loro presidente, in quel momento, gli aveva voltato le spalle. Qual è il giudizio che tu dai ad Obama? Sei davvero convinto che anche lui, in qualche modo, abbia aperto la strada a Donald Trump?
Io ho votato due volte per Barack Obama. La prima volta sulla scheda elettorale il nome per esteso era “Barack Houssein Obama”. Eravamo in piena guerra in Iraq e i repubblicani accusavano Obama di essere musulmano. I democratici chiedevano ad Obama di togliere quell’”Houssein” dal suo nome, magari di chiamarsi Barry anziché Barack, ma lui si è rifiutato. E si è candidato comunque. Ed ha vinto le elezioni. Insomma, entro nella cabina elettorale per votare, leggo il suo nome, mi commuovo e piango. E una lacrima finisce sulla scheda e la macchia, indelebilmente. Un disastro. Ero commosso, non avrei mai pensato di poter votare per un uomo o una donna di colore come candidato per la presidenza degli USA. È stato un momento di grande speranza, perché in quel momento gli americani hanno messo da parte il loro razzismo e hanno deciso di farlo diventare presidente. Ero orgoglioso. Un mese dopo le elezioni, però, Obama mise a capo delle politiche economiche due esponenti di Wall Street. Per me è stato devastante. Esattamente un mese dopo. In questi 8 anni Obama ha fatto tante cose positive, ma ha commesso anche tanti errori – uno tra tutti smentire la pericolosità dell’acqua di Flint. Obama, con il suo atteggiamento, ha contribuito alla vittoria di Trump, perché dopo Flint la gente ha smesso di votare, è rimasta a casa, delusa. E Trump è arrivato al potere. E questo, forse, è successo anche qui in Italia: se la gente perde fiducia nella politica, fa sì che le persone sbagliate salgano al potere. Credo che le persone di sinistra si debbano impadronire nuovamente del loro partito, in tutto il mondo: solo così possiamo sperare che le cose cambino davvero.
Ho letto un libro di recente che si chiama Friendly Fascism che racconta che il nuovo fascismo non arriverà con i campi di concentramento, svastiche o duce, ma con una faccia sorridente e con uno show televisivo.
C’è una scena del tuo film in cui fai parlare Hitler con la voce di Trump – e qui torniamo al discorso sulla “radicalità” dei contenuti di questo film. Quindi ti chiedo: credi davvero che Trump sia un neo-nazista? Sei convinto che possa in qualche modo annullare la democrazia?
Nel film non dicevo che Trump è Hitler, dicevo che Hitler è Trump. Perché Hitler parla, si muovono le labbra, ma la voce di Trump esce dalla sua bocca.
Comunque a me piace la satira, mi piace poter ridere di queste cose. Quando dico che si deve prenderlo seriamente, poi non vuol dire che non mi prenda gioco di lui. Una sana satira è fondamentale, sempre, perché aiuta ad abbattere il “potere” di questi personaggi. Ovviamente, in questa scena non dico che Hitler sia Trump o viceversa, dico che la Germania degli anni Trenta era un paese liberale e di grande cultura, eppure le cose sono cambiate in pochissimo tempo. All’interno della democrazia, purtroppo, non esiste un meccanismo di autocorrezione, non è come le macchine moderne dove se la macchina slitta c’è un sistema frenante che riporta la macchina nella giusta direzione. Bisogna stare molto attenti, perché poi diventa facile per personaggi come Trump o Salvini salire su quella macchina e buttarla giù per la scogliera.
L’unica cosa che mi sento di dire, comunque, è che questi potrebbero essere gli ultimi giorni della democrazia così come la conosciamo.
Che risultato si aspetta dalle mid-term elections?
Non so cosa accadrà, quello che so è che la sinistra è depressa e demoralizzata. So però che se la gente si presenterà alle urne, se decine di milioni di donne, giovani, persone di colore si presenteranno alle urne, allora sì che potremo schiacciare Trump.
Ha nominato spesso Salvini. Uno dei problemi che Salvini sta estremizzando è il rapporto con gli immigrati. Cosa pensa di questo atteggiamento, visto che riguarda anche gli USA da vicino?
Salvini è un razzista. So che la situazione è difficile per l’Italia e mi dispiace anche per il mio paese, che non riesce ad accogliere le persone in difficoltà perché anche noi abbiamo un presidente razzista. Eppure la nostra cultura esiste grazie anche a tutte le persone che sono venute da altri paesi del mondo e hanno contribuito a farla crescere. Io credo che in Italia ci siano tante persone capaci e intelligenti in grado di capire come risolvere la questione immigrazione e credo sia importante cominciare a chiamare Salvini con il proprio nome.
Prima di concludere l’incontro, Micheal Moore decide di salutare il pubblico italiano con un commento essenziale: “Voglio solo dire una cosa a voi italiani, anche se so che l’ultima cosa che vorreste e dovreste fare, ora come ora, è dare ascolto a un americano. Voi avete dato tantissimo a me e a noi, come popolo, al mondo in generale. Non solo in termini di arte e cultura. Il sistema sanitario italiano non ha quasi pari nel mondo, nonostante ci siano diverse cose da sistemare. Quando sono venuta in Italia per la prima volta 30 anni fa ho mangiato un pomodoro italiano: è stata un’esperienza incredibile. Amo il modo con cui trattate le vostre cose, come vi prendete cura del vostro corpo. Il paradosso è che il pomodoro è nato in America, non è vostro, eppure qui da voi ha tutto un altro sapore. Mi ci sono voluti 30 anni per scoprire il suo vero sapore. Quello che vi dico, quindi, è che mi intristisce vedere come sta diventando questo paese, per cui vi chiedo, semplicemente: tornate ad essere l’Italia, perché il mondo ha bisogno di voi”.