Horror, femminile plurale – Guida ai migliori film di genere diretti da registe donne
La rivincita delle donne dietro la macchina da presa ha finalmente avuto inizio.
Certo, le registe donne e di talento esistono da sempre – per fortuna – ma vuoi perché il mestiere del regista è sempre stato maschile “per tradizione”, vuoi perché il mondo del cinema a volte sa essere più sessista di quel che sembra, è solo negli ultimi anni che diverse donne sono riuscite ad emergere e a ritagliarsi il loro meritato posto dietro la macchina da presa – anche in un ambito come quello del cinema di genere.
Le registe horror, infatti, non sono così poche come si potrebbe pensare – e alcune di loro, anzi, hanno contribuito a rendere grandioso il genere, ora come allora.
Se ci pensate bene, il cinema horror vive di donne e di femminilità: l’eroe, solitamente, è una donna che riesce a sopravvivere fino allo scontro finale senza chiedere l’aiuto di nessuno. Ma cosa accade quando le donne lasciano l’altro lato dello schermo per raccontare qualcosa, in prima persona?
Accade qualcosa di meraviglioso, a volte, ve lo dico io. Ed è per questo che abbiamo deciso di stilare una selezione (in ordine rigorosamente “sparso”) dei migliori film horror diretti da registe donne – alcune delle quali molto attive e apprezzate in un insospettabile passato.
Pet Sematary – Mary Lambert (1989)
Forse non è la migliore trasposizione da un libro di Stephen King, ma onestamente poteva andarci molto peggio. Invece il film di Mary Lambert mantiene le sue promesse: Pet Sematary è un film piuttosto fedele alla poetica del maestro dell’horror, forse anche grazie alla sceneggiatura scritta da King in persona (che ha apprezzato così tanto l’idea di questo film da decidere di comparire con un cameo).
Nonostante le apparenze, infatti, Pet Sematary gioca molto di più su ambienti e sensazioni, che sul potenziale soprannaturale di King. I romanzi dello scrittore di Portland, infatti, sono spesso pervasi da quest’aura tipicamente Lovecraftiana, fatta di mostri e creature soprannaturali – che, però, come Lovecraft sono manifesto di qualcosa di ben più intimo e profondo.
The Velvet Vampire – S. Rothman (1971)
Mettiamola così: The Velvet Vampire non è il miglior esempio di horror exploitation degli anni Settanta, ma la sua regista Stephanie Rothman probabilmente sì. Un film come questo ha molta importanza, nel panorama di genere del cinema indie del passato: i film exploitation hanno avuto spesso una visione maschile e maschilista del cinema, della donna e della vita. Registe come Stephanie Rothman, invece, riescono a ribaltare le carte in tavola e a dare vita, sullo schermo, a personaggi femminili forti e carismatici, con una spiccata visione femminista.
La protagonista di The Velvet Vampire è Diane Le Fanu (il cui cognome è chiaramente ispirato a Sheridan Le Fanu, lo scrittore del racconto gotico Carmilla), una donna vampiro con un passato secolare, che invita nella sua magione in mezzo al deserto Lee e Susan, novelli sposi un po’ naive. Come in un acerbo Rocky Horror Picture Show, l’arrivo della giovane coppia nella casa dell’affascinante vampira li catapulterà ben presto in un vortice di sesso e tentazioni.
Carrie – Kimberly Prince (2013)
Chi lo dice che i reboot e i remake sono sempre uno sbaglio? Questo Carrie di Kimberly Price sembrerebbe proprio dimostrare il contrario.
In questo caso, la presenza di una donna dietro la macchina da presa è piuttosto evidente, perché questa nuova versione del noto romanzo di King si sofferma molto di più sui disturbi mentali derivati dal rapporto malato di Carrie con sua madre, una donna autoritaria, rigorosa e fortemente religiosa. Ma non è tutto: in questa Carrie (interpretata da una splendida Chloe Moretz) c’è tutta la paura e il dolore di una ragazza distrutta, che vorrebbe soltanto essere “normale”.
Da sempre manifesto dei più deboli che finalmente trovano un modo (anche se estremo) per ribellarsi a violenza e bullismo (la violenza, in questo caso, è esercitata anche dalla madre – una inquietantissima Julianne Moore), un film come Carrie diventa quanto mai necessario, in un 2013 all’insegna del cyberbullismo e della umiliazione della diversità.
Visible Secret – Ann Hui (2001)
Al di là di ogni aspettative, Visible Secret è un film interessante e a suo modo anche divertente. Ann Hui, una delle registe horror orientali più interessanti del panorama di genere, riesce in questo film a combinare un tipo di comicità assai vicino alla cultura orientale con le ghost stories per dare vita a un film davvero unico nel suo genere, perfino diverso dalle sue solite produzioni.
Visible Secret racconta la storia di Peter e June. Lui parrucchiere, lei infermiera, ma con una particolarità: riesce a vedere i fantasmi. Al punto che anche lui, come lei, piano piano, avverte delle strane presenze al suo fianco. E questa cosa, alla lunga, prende una piega davvero insolita e grottesca, per tutti e due, al punto da mettere in serio pericolo la loro vita – e la loro storia d’amore.
Non eccelle nè per trama, nè tantomeno per effetti speciali, questo Visible Secret, ma ha dalla sua il coraggio di osare e provare qualcosa di insolito e diverso, in grado di intrattenere il pubblico senza annoiarlo mai.
Woodshock – Kate & Laura Mulleavy (2017)
Ne avevamo già parlato qualche tempo fa qui su Idiotist: Woodshock, film d’esordio delle sorelle Mulleavy, ha stregato lo scorso festival di Venezia con un racconto visionario, eccentrico ed estremo sull’elaborazione di un dolore attraverso le sostanze stupefacenti.
Distribuito da A24 (sono loro a dettare i trend nel cinema indie, da qualche anno a questa parte), Woodshock vede tra i suoi protagonisti anche Kristen Dunst, vera e propria icona del cinema indie internazionale (merito, forse, anche di Sofia Coppola).
E dire che le sorelle Mulleavy non sono registe horror, anzi, ma il loro background che affonda le radici nel mondo della moda alternativa fa sì che questo film abbia una carica visiva davvero fuori dal comune.
The Bad Batch – Ana Lily Amirpour (2016)
Un po’ Mad Max, un po’ survival horror (il film ricorda le atmosfere di Rob Zombie e dei suoi “reietti del diavolo”), The Bad Batch è un film che disturba, che inquieta, che diverte ma fa anche pensare, perchè un mondo così eccessivo è possibile ed è più vicino di quello che sembra.
Con una patinatura un po’ sgranata e un po’ hipster tipica del cinema di Ana Lily Amirpour (una delle registe horror – e non solo – più interessanti del momento, già autrice di A Girl Walks Home Alone at Night), The Bad Batch racconta di un futuro distopico neanche troppo lontano, in cui la società ti scheda in base al tuo aspetto, al tuo benessere, alle tue possibilità e non importa quanto tu provi a lottare per sopravvivere e migliorare, se nasci Bad Batch (partita cattiva, in italiano) muori Bad Batch – e spesso neanche tutto intero.
The Lure – Agnieszka Smoczynska (2015)
The Lure non è di certo un film “per tutti”, uno di quelli che guardi con leggerezza davanti alla tv per far sì che il tempo annoiato passi in fretta. Agnieszka Smoczynska, la regista di questo film, racconta una storia apparentemente semplice come quella di due sirene che si fingono umane per cantare in una irriverente band locale decisamente sopra le righe, ma il sottotesto pulsante della storia è, in verità, molto più complesso.
The Lure è una favola romantica a tinte horror che parla di amore, di diversità, di bellezza e lo fa con toni decisamente insoliti per il suo genere: perfino le sirene protagoniste di questo film non sono belle e patinate come vorrebbe la tradizione, ma due giovani donne assolutamente comuni, con una coda neanche troppo “cinematografica”, a dire il vero, ma proprio per questo estremamente reale.
Organ – Kei Fujiwara (1996)
Se siete amanti del gore, dello splatter e del cinema estremo, questo film è imperdibile nel vostro catalogo di cult del genere: Organ, lungometraggio di Kei Fujiwara del ’96, pellicola giapponese super pulp con tanto di spruzzi di sangue, teste che saltano e, ovviamente, una manciata di organi umani.
La regista s’è divertita così tanto da comparire anche nel film, come una dei “ladri di organi”, collettivo di simpatici burloni con la passione degli organi umani – e la bizzarra tendenza a rimuoverli dal corpo quando le persone sono ancora vive. Divertente, dai.
Per chi se lo stesso chiedendo: Kei Fujiwara è proprio lei, una dei protagonisti di Tetsuo.
Kiss of the Damned – Xan Cassavetes (2012)
Xen Cassavetes eredita dal suo papà uno spiccato senso estetico e dirige, con questo Kiss of the Damned, una tesissima storia d’amore tra due entità apparentemente diverse, ma in realtà molto più unite di quello che sembra.
Al centro di questa tensione ci sono Paolo e Djuna, lui fascinoso scrittore, di bell’aspetto ma piuttosto ordinario, lei bella, bellissima, ma ha qualcosa di strano, misterioso, inumano. Djuna è una vampira e sa che innamorarsi di Paolo lo porterà ad ucciderlo. Paolo e Djuna si evitano, per un po’, ma la pulsione erotica tra loro è tale da farli cedere, inesorabilmente, in un vortice di sesso e violenza senza fine apparente. Fino a quando, nella loro vita, non fa capolino Mimi, la sorella di Djuna, e a quel punto le cose cominciano a cambiare.
Xan Cassavetes dirige i suoi film con estrema cura e attenzione dei dettagli: è figlia del cinema indipendente, così come lo era suo padre, ma ha anche uno spiccato senso estetico figlio dei nostri tempi, capace di renderla autrice indie e pop allo stesso tempo.
Boxing Helena – Jennifer Lynch (1993)
L’amore può diventare ossessione e sfociare in qualcosa di disturbante e spaventoso. Un po’ come l’amore che Nick prova per Helena, una donna bellissima ma totalmente disinteressata a lui. Eppure anche Nick non dovrebbe provare interesse per Helena: è sposato con una donna bellissima, che peraltro ricambia il suo amore, ma Helena è qualcos’altro, qualcosa che neppure lui riesce a spiegare. Ecco perché Nick rapisce Helena, dopo averle salvato la vita, ed ecco perché decide di creare – forzatamente? – con lei un legame così intenso e malato come questo.
Jennifer Chambers Lynch – figlia di un padre scomodo e geniale – dirige Boxing Helena, un film coraggioso, ma solo sulle prime battute. Spaventata, forse, lei stessa dalla creatura che aveva plasmato con le sue mani, non ha il coraggio di arrivare fino in fondo e si ferma in una comfort zone forse un po’ troppo confortevole.
L’infuenza del genio di suo padre, però, è più che percettibile.
A Girl walks home alone at night – Ana Lili Amirpour (2014)
Forse definire horror questo film può sembrare riduttivo, e in parte avreste anche ragione, eppure il film d’esordio di Ana Lily Amirpour, A Girl Walks Home Alone at Night, ha più di un rimando al genere cinematografico più sottovalutato della storia del cinema.
Girato in un bianco e nero così marcato da sembrare una graphic novel, A Girl Walks Home Alone at Night è ambientato in un non luogo chiamato Bad City (che ricorderebbe anche la Sin City di Miller), abitato da mostri, disgraziati e reietti della società. In mezzo a loro c’è un vampiro, che se ne sta per conto proprio a gironzolare per le silenziose strade della città, dando la caccia a tutti i malintenzionati che provano a molestare le donne che incontrano.
Definito “il primo western iraniano sui vampiri”, A Girl Walks Home Alone at Night è un misto tra nouvelle vague e cinema coreano, a tratti (volutamente) lento, elegante, poetico e drammatico insieme.
American Psycho – Mary Harron (2000)
Divenuto in pochissimo tempo film di culto, lanciando Christian Bale nell’olimpo dei grandi di Hollywood, American Psycho è un film grottesco, controverso e divertente che affronta in un modo davvero unico l’abusato tema delle “mental diseases” (malattie mentali suona un po’ male in italiano, ma tant’è).
Patrick Bateman è un uomo che anela alla perfezione ed è disturbato da tutto ciò che lo circonda, perfetto o imperfetto che sia, al punto da essersi creato una propria dimensione in cui può finalmente essere se stesso. Fino a che punto, però, si tratta di realtà o finzione? Patrick Bateman è un feroce assassino o vittima di uno stress fuori controllo?
Mary Harron traspone un grande classico americano, direttamente da Bret Easton Ellis, e lo trasforma in un grande classico del cinema americano (con una delle scene più belle e divertenti in assoluto).
Near Dark – Kathryn Bigelow (1987)
Cosa sareste disposti a fare per amore? Tutto, direte forse. Ne siete sicuri? Cosa accadrebbe se la donna dei vostri sogni è in realtà un vampiro e anziché uccidervi decide di trasformarvi in uno di loro, condannandovi così al buio eterno e al sangue vivo come unico nutrimento?
È quello che accade a Caleb quando incontra Mae, i protagonisti di Near Dark, pellicola cupa e a tinte horror direttamente della regina del cinema hollywoodiano, miss Kathryn Bigelow. Nel film c’è anche un “lieto” fine che non stona affatto, con i toni “dark” di questo film.
Il talento di Kathryn Bigelow sta nel trasformare un film horror sui vampiri, tema già abusato allora (figuriamoci adesso), in una storia intima e profonda che parla di amore, forza, desiderio e coraggio. Coraggio di una vita al limite e alla ricerca della libertà.
The Invitation – Karyn Kusama (2015)
Non puoi fidarti di nessuno. Neanche delle persone che credi di conoscere per davvero. E’ in fondo anche questo il sottotesto di un film come The Invitation, che parte dal ritrito tema delle case “pericolose” e delle sette religiose per raccontare una storia molto più intensa e potente delle apparenze.
Dalla regista di Girlfight e Jennifer’s Body, Karyn Kusama, The Invitation è un film drammatico ed inquietante che ti fa sentire fortemente a disagio, fin dal momento in cui i protagonisti mettono piede nella casa dei loro amici.
La casa dovrebbe essere un posto sicuro, no? Un posto in cui sentirsi a proprio agio, protetti… anche se la casa non è vostra, ma è di qualcuno che amate molto, giusto? Invece no, la casa di The Invitation è tutto fuorché sicura – e i fantasmi, questa volta, non c’entrano davvero nulla.
The Babadook – Jennifer Kent (2014)
Forse uno dei film horror più belli e intensi degli ultimi anni, The Babadook sfrutta i potenti mezzi del genere per raccontare qualcosa di molto più profondo e si trasforma presto in allegoria e metafora del dolore e della metabolizzazione del lutto e della perdita.
Diretto dalla regista australiana Jennifer Kent (ed è evidente il tocco femminile in questa pellicola, inutile negarlo), The Babadook è la storia di una donna vedova e del suo bambino e la lotta che entrambi intraprendono contro i demoni che infestano la loro casa – e il loro cuore.
The Hitch-Hiker (La belva dell’autostrada) – Ida Lupino (1953)
“Questa è la storia vera di un uomo, una pistola e una macchina. La pistola apparteneva a quell’uomo, ma la macchina poteva essere vostra – o di una giovane coppia che si trovava su quella corsia. Quello che vedrete nei prossimi 70 minuti poteva accadere anche a voi. Perché i fatti sono reali.”
Ida Lupino è una regista inglese che, negli anni 50, ha fatto la storia del cinema di genere americano. Il suo film del ’53, The Hitch-hiker, è stato accolto benissimo dalla critica del tempo, per l’utilizzo originale che la Lupino aveva della macchina da presa e delle luci, ma qualcuno ebbe da ridire sulla trama, forse un po’ troppo prevedibile. Sì, perché gli anni Cinquanta erano anni piuttosto attivi, per il cinema americano, e il pubblico e la critica erano abituati a un cinema di genere molto più intenso e accattivante di questo piccolo film.
Nonostante questo, però, il suo contributo è fondamentale: Ida Lupino, infatti, era forse l’unica regista e produttrice donna a lavorare nella Hollywood degli anni Cinquanta, e poteva addirittura scrivere e produrre i suoi stessi film senza che nessuno mettesse bocca sulle sue decisioni (condizione impensabile ancora adesso, figuriamoci allora).
Esattamente come recita il cartello di apertura, The Hitch-hiker è una storia vera e si ispira alle vicende di Billy Cook, che uccise e rapì diverse persone durante il suo viaggio in California.
Trouble Every Day – Claire Denis (2001)
Sesso e cibo sono spesso in correlazione, nella vita così come al cinema. E non sempre il loro legame porta a conseguenze tollerabili.
In questa pellicola intensa ed estrema di Claire Denis, presentata a Cannes nel 2001 e uscita malamente in DVD nel 2005, June e Shane (interpretato da un meraviglioso Vincent Gallo) sono una coppia di giovani sposi in viaggio di nozze verso Parigi con un terribile segreto da nascondere. Un segreto che li ha trasformati in cavie da laboratorio con il solo scopo di alimentare i loro desideri sessuali. Peccato, però, che la controindicazione per una libido al limite sia l’antropofagia e June e Shane si ritroveranno ben presto a non accontentarsi del sesso, per soddisfare le loro pulsioni.
Così spinto da spingere le persone ad abbandonare la sala durante le proiezioni pubbliche (e spesso, questo, è un punto di forza per pellicole irriverenti come questa), Trouble Every Day (in italiano Cannibal Love – Mangiata Viva) è un film faticoso da metabolizzare ed estremamente difficile da digerire – un po’ come la carne umana.
Raw – Julia Ducournau (2016)
Ecco un titolo francese di cui si è tanto sentito parlare negli scorsi anni. Raw, di Julia Ducournau, è un horror molto intenso diretto con cinismo e freddezza, due elementi tipici del cinema di genere francese.
Privo di fronzoli – ma è solo un’apparenza – Raw è in verità un film molto crudo (così come suggerirebbe lo stesso titolo del film), che porta all’esterno i dolori interiori dell’uomo e li trasforma in qualcosa di estremo e primordiale come il cannibalismo.
Visivamente esplicito, ma allo stesso tempo fortemente allegorico, questo piccolo gioiellino francese racconta una storia semplice e per certi versi grottesca con una drammaticità senza pari.
Bonus Track: Roberta Findlay
I suoi genitori volevano che diventasse una pianista, ma lei, la più giovane di tre fratelli, aveva piani ben diversi per il suo futuro. Quando si avvicinò al cinema, per la prima volta, erano gli anni ’60: da quel momento, Roberta Findlay realizzò che sarebbe stata quella la sua strada, è lì che avrebbe dato il meglio di sè.
La musica è sempre stata la sua più grande passione, ma le sue produzioni più interessanti sono quelle dietro la macchina da presa: il suo primo film come regista risale al 1966, un film horror chiamato Take Me Naked, diretto assieme al marito Michael e firmato sotto gli pseudonimi Anna Riva e Julian Marsh.
Non incuriosisce tanto che la Findlay utilizzasse nomi d’arte per firmare le sue opere, quanto il fatto che per diverse produzioni utilizzasse un nome maschile, a volte Robert Norman, altre volte Robert Walters.
Ad ogni modo, la Findlay è stata piuttosto attiva per più di 20 anni, producendo e dirigendo diverse pellicole in bilico tra genere ed exploitation.
Extra: XX – St. Vincent, K. Kusama, J. Vuckovic, R. Benjami (2017)
Prendete 4 donne carismatiche, ognuna di loro in qualche modo influente nella cultura pop internazionale, affidate loro un tema specifico e mettetele dietro la macchina da presa a dirigere un mediometraggio. E’ l’esperimento di XYZ Films, casa di produzione dietro XX, antologia horror che cerca di portare sullo schermo il talento visionario di 4 talentuose registe, tutte molto diverse tra loro e ognuna con un’urgenza diversa da raccontare.
Alla regia di questi 4 mediometraggi Roxanne Benjamin, regista del segmento Don’t Fall, Karyn Kusama, regisa del segmento Her Only Living Son, St. Vincent, regista del segmento The Birthday Cake e Jovanka Vuckovic, regista del segmento The Box.
Al di là dei nobili intenti, tuttavia, è evidente la mancata esperienza per alcune delle regista chiamate in causa e il risultato è piuttosto acerbo (eccezion fatta per un paio di episodi in particolari, tra qui quello di St. Vincent), seppur ricco di ottime intenzioni.
Il valore di questo progetto, però, è indiscutibile e non potevamo non inserirlo in questa lista.