Climax: Gaspar Noé, la danza e la paura di lasciarsi andare
La prima volta che ho visto un film di Gaspar Noé sarà stato boh, il 2007. Studiavo cinema all’università e passavo il tempo a guardare film, sia per studiare che per passione. Col tempo quella dedizione un po’ la perdi, ma in fondo è solo colpa della vecchiaia. Dicevo, 2007. Il film era Irréversible, uno dei film più discussi di inizio 2000. Quando uscì nel 2002 ero poco più che adolescente, non c’era l’internet così come l’abbiamo adesso e sentii solo parlare di quella fantomatica scena con Monica Bellucci. Alla visione ci arrivai qualche anno dopo – e fu amore, puro, viscerale. Una morsa allo stomaco incredibile.
Diversi anni dopo, nel 2013, mi è capitato sotto mano Enter The Void, un viaggio psichedelico (a psychedelic melodrama, come l’ha definito Noé stesso) di un tossicodipendente che, dopo essere stato sparato dalla polizia in un club al neon di Tokyo, comincia a guardare il mondo come se fosse un’esperienza extra-corporea. Disturbante, deviante, contorto, acido, nauseante. Perfetto.
Qualche giorno fa, al cinema vicino casa proiettano Climax, il suo penultimo film. Ho aspettato Climax come aspetti l’aria fresca in una torrida giornata estiva, come i bambini aspettano il carretto del gelato nel 1963. Noé ha unito due tra le cose che amo di più al mondo, se stesso e la danza, in un viaggio claustrofobico e orrorifico nella paura più recondita dell’uomo: la perdita del controllo.
Immaginate cosa sia il controllo per un ballerino. Immaginate ora cosa vuol dire perdere totalmente quel controllo su di sè per colpa di una sangria “corretta” con l’LSD. Delirio, paura, disperazione. La stessa che tu, spettatore, provi mentre li guardi distruggere la propria esistenza in una sola notte.
Noé ha prodotto Climax in meno di un mese e lo ha diretto in ordine cronologico in soli 15 giorni, affidandosi principalmente all’improvvisazione dei suoi protagonisti (24 straordinari ballerini, ognuno diverso e unico e quindi perfetto in questo allucinante ensemble del delirio). Ispirandosi a una storia realmente accaduta, Noé si è forse sentito un po’ stretto e se da un lato ha raccontato la perdita totale del controllo dei suoi protagonisti, dall’altro lato ha faticato molto a liberarsi totalmente dagli schemi: il sesso, la violenza, la disperazione ci sono, ma non come solo il regista di Enter The Void saprebbe fare. Vi dirò, però, che poco importa, che questo film è un piccolo capolavoro indipendente con una regia incredibile, una fotografia coraggiosa e una messa in macchina straordinaria (nel senso più letterale possibile). La maggior parte delle inquadrature (inclusa la bellissima sequenza iniziale) è disturbante, atipica, spesso storta e distorta e queste scelte, unite a una colonna sonora imperdibile e che vi linkiamo subito perché dovreste ascoltarla almeno una volta al giorno o la mattina quando andate a lavoro, rendono il suo lavoro ancora più intenso, ancora più massacrante, ancora più vero.
“Puoi perdere tutto quello che hai in un secondo”, recita uno dei cartelli del film, che anticipano le scene clou come per dividere la storia in tanti piccoli atti: puoi perdere tutto, il successo, la danza, la vita. Tutto. E una volta perso sarà impossibile tornare indietro.
Un po’ lo invidio Gaspar Noé, perché in lui c’è l’incoscienza e il coraggio di un bambino, la voglia di osare e sperimentare come se non avessi davanti a te un pubblico giudicante o una casa di distribuzione per forza di cose castrante. Lo invidio perché lo vorrei qui, un genio come il suo, e non so cosa darei per passare anche solo 20 minuti nella sua testa – ma mi “basterebbe” anche passeggiare sul suo set. Perché ogni suo film è una lezione di cinema, su come essere estremi senza mai alzare l’asticella, senza dover forzatamente esagerare, senza perdere mai di vista il primo amore di chi fa questo mestiere: la messa in scena.